Il diritto delle investigazioni private: regole di compliance, protezione dei dati personali e prospettive evolutive

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Intervista all’Avv. Alberto Bettiol e all’Avv. Francesco Torlontano

 

È stato recentemente pubblicato, per i tipi di “La Tribuna” e a cura di S. Zipponi, il volume “Diritto delle investigazioni private”, che raccoglie e commenta, in un’unica opera, tutta la normativa di rilevanza per il settore: dalla tutela della privacy e dei dati personali alle norme che regolano l’accesso alla professione, fino al diritto penale applicabile. Il volume mira tanto ad affrontare e approfondire temi giuridici, considerando tesi dottrinali e giurisprudenza, quanto a trasmettere indicazioni concrete, che possano fungere da utile guida per l’investigatore e i professionisti della difesa.

A tale opera collettanea hanno contribuito due professionisti del team ICTLC, Alberto Bettiol – che si è occupato degli aspetti di diritto amministrativo connessi alla licenza per lo svolgimento dell’attività d’investigazione privata – e Francesco Torlontano – il quale ha esaminato alcune delle fattispecie di reato che più di frequente vengono contestate agli investigatori privati, approfondendo i principali orientamenti giurisprudenziali e i relativi contrasti interpretativi.

A loro abbiamo posto alcune domande relativamente ai temi trattati nel manuale.

 

La professione di investigatore, che nel tempo si è evoluta nelle modalità esecutive anche in virtù dell’utilizzo di sempre più sofisticati strumenti tecnologici, richiede comunque una buona conoscenza almeno delle nozioni di base di diritto penale, sostanziale e processuale?

F.T.: “Possedere una solida base teorica degli istituti processuali–penalistici e di diritto penale nonché di determinate leggi speciali – fra tutte, la normativa in materia di protezione dei dati personali o quella relativa alla tutela della sicurezza pubblica – è fondamentale nello svolgimento della professione di investigatore. Non si può pensare, infatti, che l’incarico di investigatore privato si riduca all’esecuzione di attività di natura prettamente “tecnica” o “pratica” non supportate da idonee conoscenze giuridiche. Considerata anche la potenziale “intrusività” di talune modalità di esecuzione degli incarichi conferiti all’investigatore – si pensi, per esempio, alla sfera privata o professionale della persona oggetto di pedinamenti –, ritengo inoltre di non secondaria importanza avere consapevolezza di certi orientamenti giurisprudenziali consolidatisi nel tempo attorno alla figura dell’investigatore privato”.

 

Concretamente, che requisiti deve possedere una persona che volesse intraprendere questa carriera?

A.B.: “Anzitutto, va tenuto conto che lo svolgimento dell’attività d’investigatore privato è subordinato al preventivo ottenimento di una licenza, il cui rilascio è di competenza del Prefetto. Ai fini dell’ottenimento di tale licenza è necessario disporre di determinati requisiti soggettivi di competenza tecnica e di esperienza professionale, consistenti nell’ottenimento di determinati titoli di studio, cui deve aggiungersi se del caso una precedente esperienza nelle forze dell’ordine e/o lo svolgimento di un periodo di “praticantato” in un istituto d’investigazioni private. Peraltro, tali requisiti soggettivi vanno “coltivati” nel tempo, tramite la partecipazione a specifici corsi di aggiornamento professionale, cui è subordinato il rinnovo della licenza medesima”.

 

L’attività d’investigatore privato, quindi, è qualificabile come una “professione intellettuale” o si tratta di un’attività imprenditoriale?

A.B.: “Il carattere personale della licenza prefettizia – tratto peraltro comune a tutte le cosiddette “licenze di polizia” disciplinate all’interno del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza – determina indubbiamente un forte disincentivo alla crescita dimensionale delle agenzie investigative, essendo il destino delle stesse così indissolubilmente (e rischiosamente) legato a quello del titolare dell’agenzia detentore della licenza medesima. Tuttavia, negli ultimi anni, grazie soprattutto alla spinta del diritto e della giurisprudenza dell’Unione Europea si sono registrati alcuni segnali indicativi di una sorta di “inversione di tendenza”: su tutti basti citare il superamento del limite territoriale della licenza, che in precedenza determinava la possibilità di esercitare l’attività solo nell’ambito della provincia di competenza del Prefetto il quale aveva rilasciato l’autorizzazione, nonché l’apertura del mercato dele investigazioni private a operatori esteri”.

 

Quali sono i reati che potrebbero essere contestati agli investigatori privati nell’esercizio della loro attività?

F.T.: “Esaminando la casistica giurisprudenziale sviluppatasi negli anni, possiamo senza dubbio citare il delitto di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis c.p. Prima di addentrarsi nell’approfondimento di questa fattispecie, è bene, innanzitutto, partire da una fondamentale premessa: i reati di cui è chiamato a rispondere l’investigatore privato derivano, il più delle volte, dall’esercizio di attività di per sé lecite, che tuttavia, per le modalità esecutive, i mezzi utilizzati o per altre ragioni possono assumere un disvalore penale integrando una fattispecie criminosa. Sotto questo profilo, il già citato reato di interferenze illecite nella vita privata ha senz’altro dato vita a un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Come noto, infatti, tale figura delittuosa è caratterizzata dall’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora al fine di procurarsi, rivelare o diffondere indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata di una persona. Affinché sia integrato il reato, l’illecita captazione deve avvenire presso l’abitazione o altro luogo di privata dimora o nelle sue appartenenze. Inoltre, quando il delitto sia commesso da un investigatore privato, si applica la circostanza aggravante prevista dal terzo comma. Mentre non sussistono incertezze interpretative rispetto alla nozione di abitazione privata – con la conseguenza che dovrà considerarsi illecita, per esempio, la condotta dell’investigatore che si introduca nell’abitazione altrui per collocarvi microspie ed utilizzare le registrazioni acquisite – permane incertezza attorno ai luoghi da ricomprendere nel concetto di privata dimora. Per accertare la sussistenza del reato in esame, la Suprema Corte ha così individuato alcuni criteri interpretativi specifici (es. esistenza di un luogo dal quale il titolare ha diritto di escludere i terzi, la stabilità e non occasionalità della presenza nel luogo della persona ecc.) volti a qualificare correttamente il luogo in cui si è svolta la condotta tipica della fattispecie. A titolo esemplificativo, è noto agli “operatori del diritto” il contrasto interpretativo che si è sviluppato in dottrina e giurisprudenza rispetto all’abitacolo dell’autovettura come luogo di privata dimora. Ebbene, dopo varie pronunce divergenti e ondivaghe, sembra essere prevalsa la tesi estensiva che attribuisce all’autoveicolo la qualifica di luogo di privata dimora”.

 

Quali ulteriori situazioni potrebbero coinvolgere l’investigatore in fatti di rilevanza penale?

F.T.: “Si potrebbe citare, fra tutte, l’attività di pedinamento (detta anche “controllo dinamico”). Anche in questo caso, occorre preliminarmente osservare come i pedinamenti compiuti dall’investigatore privato costituiscano un’attività di per sé lecita, purché compiuta entro i confini tracciati dall’ordinamento penale e dai principi costituzionali posti a tutela della libertà morale e della sfera privata degli individui. Senonché, potrebbero verificarsi casi di investigatori privati che, a causa di una condotta spregiudicata e poco attenta, disvelano alla persona pedinata la loro presenza e l’attività svolta. In questi casi, soprattutto laddove il soggetto “attenzionato” inviti espressamente l’investigatore ad interrompere il servizio di pedinamento manifestando il proprio fastidio, l’eventuale protrarsi dell’attività investigativa (perlomeno con le medesime modalità) potrebbe configurare il reato di molestie o disturbo alle persone previsto dall’art. 660 c.p. Su questa tematica si è pronunciata anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha per l’appunto considerato illecita la condotta dell’investigatore che svolga pedinamenti in maniera sistematica e continua in modo tale da ingenerare nella persona pedinata uno stato di timore e angoscia[1]. Pertanto, è importante valutare non solo le modalità esecutive, ma anche la durata e la frequenza del pedinamento, evitando, per esempio, che l’attività che si protragga per un periodo di tempo abnorme rispetto all’incarico ricevuto e ai fatti da accertare. Da ultimo, occorre aggiungere che uno degli elementi la cui sussistenza è necessaria affinché possa ritenersi integrato il reato di molestie è la consapevolezza, da parte dell’investigatore, del disturbo o del fastidio arrecato alla persona pedinata”.

 

 

[1] Cfr. CEDU, sez. III, 18 ottobre 2016 (ric. n. 61838/10).

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