Il diritto all’oblio nel contesto delle pubblicazioni online: estensione e limiti

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Autori: Francesca Tugnoli, Eleonora Margherita Auletta

 

Le pubblicazioni online: l’odierna quotidianità

Quando una notizia o un’informazione viene pubblicata online non è così agevole mantenerne il controllo, anche ai fini di un’eventuale futura cancellazione. Infatti, ci sono volute diverse pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché indicazioni dai Garanti europei, per delineare esattamente i contenuti di un diritto – quello a essere dimenticati – che, a livello teorico, viene riconosciuto come inviolabile, ma nella pratica non pare rivelarsi come tale.

 

Evoluzione normativa del diritto all’oblio nella pubblicazione dei contenuti online

Il diritto all’oblio[1] si concretizza per la prima volta nel nostro ordinamento quando, nel 1998, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato sussistere “l’interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di notizie in passato legittimamente divulgate[2]. A fronte di eventuali situazioni dannose, facilmente verificabili in una società “a cambiamento velocissimo[3] dal punto di vista tecnologico e relazionale, è sempre più frequente la necessità di intervenire ex post, privando di visibilità la notizia “indesiderata”.

A ben vedere, quando si parla di cancellazione dei contenuti online si intende tecnicamente la rimozione di un contenuto scritto dalla rete. Con il termine deindicizzazione si fa, invece, riferimento al fatto di rendere indisponibile tale contenuto ed impedire che lo stesso compaia come risultato a seguito di una specifica ricerca testuale. Il dato, tuttavia, rimane presente online ma sarà raggiungibile solo tramite una ricerca alternativa più complessa.

Ci è voluta la sentenza Google Spain SL Google Inc c. Agencia Española de Protección de Datos Mario Costeja González[4] della Corte di Giustizia dell’Unione europea per sostenere che può dirsi trattamento di dati personali quello di “trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza”. A tal riguardo, infatti, il gestore del motore di ricerca, il quale “«raccoglie» […] «estrae», «registra» e «organizza» successivamente nell’ambito dei suoi programmi di indicizzazione [tali dati], [li] «conserva» nei suoi server e, eventualmente, [li] «comunica» e [li] «mette a disposizione» dei propri utenti sotto forma di elenchi dei risultati delle loro ricerche”, agisce quale titolare del trattamento per tali attività.

In risposta a tali operazioni di trattamento, deve pertanto ritenersi sussistente, per l’interessato, il diritto alla deindicizzazione, inteso come diritto a che un’informazione a quest’ultimo riferita e pubblicata su una pagina internet “non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome”.  Tale diritto, in quanto fondamentale, prevale, in linea di principio, sia sull’interesse economico del provider del motore di ricerca, che sul contrapposto diritto alla pubblicità della notizia. L’eventuale esercizio di tale diritto da parte dell’interessato deve, in ogni caso, sottostare ad un bilanciamento, da svolgere in concreto alla luce delle circostanze di fatto presenti[5]. Occorrerà dunque tenere in considerazione una serie di criteri rilevanti[6] tra cui, segnatamente:

        • il contributo a un dibattito di interesse generale,
        • la notorietà della persona che tali dati riguardano,
        • l’oggetto del reportage,
        • la condotta anteriore di tale persona,
        • il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione,
        • le modalità e le circostanze in cui le informazioni sono state ottenute,
        • nonché la loro veridicità.

 

Limiti della richiesta di deindicizzazione

Nel richiamare il diritto di cui all’art. 17, par. 1 del Regolamento UE n. 679/2016 (“Regolamento”) vengono frequentemente utilizzati indistintamente i termini “oblio” e “cancellazione”. Tale sovrapposizione, tuttavia, deve ritenersi impropria in quanto trattasi, in realtà, di istituti distinti. Invero, la cancellazione è un’attività necessariamente prodromica e funzionale all’ottenimento dell’oblio, che risulta piuttosto un obiettivo – quello di diventare “invisibili” – perseguibile tramite l’esercizio del diritto di cancellazione[7].

L’European Data Protection Board, nelle Linee guida 5/2019, ha chiarito i limiti e la portata del diritto alla deindicizzazione[8]. Anzitutto, è possibile chiederla nei casi di cui all’art. 17, par. 1 del Regolamento, ossia quando i dati non sono più necessari rispetto alle finalità del trattamento precedentemente effettuato. Ciò accade, ad esempio, quando risulta intercorso un importante lasso di tempo rispetto ai fatti descritti nell’URL indicizzato e, dunque, i dati risultano obsoleti o non aggiornati.

Tali disposizioni non troveranno, tuttavia, applicazione nell’ipotesi in cui – ai sensi dell’art. 17, par. 3 del Regolamento – la conservazione sia necessaria per:

        • l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, come nel caso di contenuti pubblicati online;
        • l’adempimento di un obbligo legale cui il titolare è soggetto o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito quest’ultimo;
        • motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica;
        • fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici;
        • l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

A livello nazionale, il Garante Privacy è stato più volte interpellato[9] per verificare la liceità del rigetto opposto all’interessato da parte del gestore del motore di ricerca a fronte dell’istanza di deindicizzazione dallo stesso formulata, esprimendosi sempre a favore dell’interessato, alla luce del bilanciamento condotto tra il diritto all’oblio dell’interessato e l’interesse pubblico della notizia in forza dei parametri sopra chiariti, quali, in particolare, il tempo trascorso dal fatto oggetto di pubblicazione e la rilevanza attuale della notizia.

 

La deindicizzazione in ambito penale: un “potenziale” diritto a supporto della presunzione di innocenza

Nel nostro ordinamento è sempre più frequente la necessità, per l’imputato o per la persona sottoposta alle indagini, di dover richiedere la deindicizzazione di notizie connesse a procedimenti penali. Tale diritto è stato parzialmente consacrato e positivizzato con la nota riforma Cartabia ed in particolare con il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n.150 (Legge Cartabia), che ha modificato l’art. 64-ter delle disposizioni di attuazione del c.p.p.[10] e introdotto il diritto ad ottenere la deindicizzazione dei provvedimenti nell’ipotesi di:

        • proscioglimento;
        • sentenza di non luogo a procedere;
        • provvedimento di archiviazione.

In tali casi l’interessato può richiedere che l’informazione non venga nemmeno indicizzata, quando il provvedimento di proscioglimento o archiviazione venga emesso prima della diffusione della notizia,  oppure può chiederne la deindicizzazione ove lo stesso sia stato già diffuso online.

La novella legislativa di fatto consacra le condizioni al ricorrere delle quali l’interessato ha il diritto di ottenere la deindicizzazione dei provvedimenti (o la mancata indicizzazione degli stessi), superando la precedente impostazione che demandava tale valutazione al Garante Privacy e all’Autorità giudiziaria da effettuarsi, come detto, caso per caso, alla luce del bilanciamento tra esigenze contrapposte. Il vero novum legislativo, tuttavia, non riguarda tanto il diritto alla deindicizzazione dei contenuti – già consacrato in precedenza dalla giurisprudenza europea e recepito dalle autorità nazionali (Garante e Autorità giudiziaria) – quanto piuttosto il diritto ad evitare ab origine – tramite una formula inibitoria apposta sul titolo – che la notizia venga diffusa online a partire da ricerche sul nominativo dell’indagato. In questo modo viene prevista per la prima volta una tutela preventiva all’interessato che contribuisce alla consacrazione del diritto dell’individuo a non venire associato a procedimenti penali, tentando così di fornire protezione ad un diritto parimenti inviolabile come quello alla presunzione di innocenza[11].

Da un punto di vista pratico-operativo, per ottenere la deindicizzazione di un contenuto occorrerà che l’interessato presenti istanza alla cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento, la quale apporrà la formula necessaria[12] a seconda che si richieda la deindicizzazione o la non indicizzazione del contenuto. Successivamente, l’interessato potrà rivolgersi al provider del motore di ricerca, il quale dovrà provvedere senza poter valutare in concreto la fondatezza della richiesta. Il provider sarà, in ogni caso, tenuto ad attivarsi a fronte di espressa istanza dell’interessato, senza alcun automatismo in tal senso[13].

 

Conclusioni: paradosso di una disciplina

Nonostante le garanzie di cui sopra, la problematica legata alla “memoria digitale” ad oggi più rilevante concerne la difficoltà di cancellare non tanto la fonte originaria di un contenuto quanto le eventuali innumerevoli ripubblicazioni che, talvolta, permangono comunque accessibili.

Per tirare le somme, una domanda sorge spontanea: il diritto all’oblio rappresenta solo un fine a cui tendere o è un diritto che un giorno potrà ricevere una tutela reale ed effettiva? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

[1] Il diritto all’oblio, quale espressione del diritto alla riservatezza e alla tutela dei dati personali,  è un diritto assoluto, e in quanto tale indisponibile, consacrato sia a livello nazionale, nell’alveo dei diritti della personalità di cui allart. 2 della Costituzione italiana e all’interno del Codice privacy,  sia a livello europeo, tramite il Regolamento UE n. 2016/679 (art. 17).

[2] Cfr. Marini M., Oblio, deindicizzazione e processo penale: dal diritto eurounitario alla riforma Cartabia, in “Sistema Penale”, Fascicolo 1/2023, https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1673254919_marini-2023a-oblio-deindicizzazione-processo-penale.pdf,  cit. p.7.

[3] https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1303712

[4] Cfr. CGUE, Grande Sezione, 13 maggio 2014, Google Spain SL Google Inc c. Agencia Española de Protección de Datos Mario Costeja González, C-131/12, in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62012CJ0131

[5] Per un approfondimento sulla portata applicativa della sentenza della Corte di Giustizia cfr. Linee guida sull’attuazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso C-131/12 “Google Spain e Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González” dell’AWP29 del 26 novembre 2014 qui.

[6] Cfr., in tal senso, CEDU, 27 giugno 2017, Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy c. Finlandia, punto 165,  nonché CGUE, 24 settembre 2019, GC e a. (Deindicizzazione di dati sensibili), C‑136/17, punto 60 e CGUE, 13 maggio 2014, Google Spain e Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González , C-131/12, par. 88.

[7] Cfr. Bolognini L., Pelino E., Codice della disciplina della privacy, Giuffrè, 2019.

[8] Un’altra ipotesi in cui l’interessato avrebbe diritto di ottenere la deindicizzazione dei propri dati personali potrebbe essere quella in cui lo stesso revochi il consenso al trattamento dei suoi dati, sulla base del presupposto, tuttavia, che il gestore del motore di ricerca abbia utilizzato tale base giuridica) per il trattamento di tali dati personali.

Ancora, un’ulteriore casistica, potrebbe essere quella in cui l’interessato si opponga al trattamento dei suoi dati ex art. 21 del Regolamento. In tali circostanze, dunque, il gestore del motore di ricerca deve provvedere alla deindicizzazione salvo che non sussista un motivo legittimo cogente che prevalga sui diritti e libertà dell’interessato. In altre parole, occorre effettuare un bilanciamento tra il diritto dell’interessato ad ottenere la deindicizzazione della notizia e quello del provider del motore di ricerca al mantenimento della stessa.

Infine, è possibile ottenere la deindicizzazione qualora i dati personali siano stati trattati in modo illecito, ossia in assenza di un fondamento legittimante il trattamento.

[9] Cfr. Garante per la Protezione dei Dati Personali, Provvedimenti nn. 192 e 194 del 15 ottobre 2020 https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9491078; https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9491061

[10] Per un approfondimento da parte del Garante sullo schema di decreto cfr. https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9802612.

[11] Cfr. Art. 111 Cost.

[12] La formula è la seguente: «ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679 […], è preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell’istante» o in caso di richiesta di deindicizzazione la formula da apporre sarà: «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante».

[13] Per un approfondimento cfr. Cass. civ., sezione I, sentenza 7 marzo 2023, n. 6806, in https://www.federprivacy.org/strumenti/accesso-ristretto/diritto-all-oblio-vecchie-notizie-da-cancellare-dal-web-solo-su-richiesta.

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