Corporate Social Responsibility: la proposta di Direttiva europea

ICTinsider-corporate-social-responsibility

Autori: Raffaella Cesareo, Giada Iovane, Francesca Tugnoli

 

La Commissione Europea ha adottato, in data 23 Febbraio 2022, la proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (di seguito, “Direttiva”). Tale proposta si inserisce all’interno di un quadro normativo europeo e internazionale[1] finalizzato a responsabilizzare le imprese sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente[2] e a rendere l’attività imprenditoriale sostenibile, creando delle c.d. “catene globali del valore”[3].

La Direttiva, infatti, prevede che le imprese adempiano a detto dovere di diligenza anche nell’ambito delle catene di fornitura di cui le stesse fanno parte[4].

 

Gli elementi principali della proposta di Direttiva

Le nuove norme contenute nella Direttiva si applicheranno alle maggiori società a responsabilità limitata con sede legale nell’UE[5], vale a dire a quelle che:

      • abbiano un fatturato netto di 150 milioni di euro a livello mondiale e oltre 500 dipendenti; o
      • appartengano a settori in cui è stato identificato un alto rischio di violazione dei diritti umani o di danni all’ambiente (a titolo esemplificativo, settore tessile, settore agricolo, settore minerario) e abbiano un fatturato netto di 40 milioni di euro a livello mondiale e oltre 250 dipendenti.

L’art. 1 del testo della proposta di Direttiva[6] chiarisce espressamente come debba interpretarsi l’obbligo di diligenza generale a cui le imprese saranno soggette. Nello specifico le imprese dovranno evitare di produrre impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, ovvero non dovranno violare divieti, obblighi o diritti previsti nelle convenzioni internazionali elencate nella Direttiva stessa[7]. Le imprese dovranno, inoltre, impegnarsi a verificare che, a loro volta, anche i propri fornitori rispettino tali prescrizioni.

Merita un cenno anche il richiamo alla tutela dell’ambiente e del clima, con riferimento al quale, l’art. 15 del testo di Direttiva, introduce uno specifico obbligo in capo alle imprese di valutare il rischio che le attività svolte possano determinare un impatto negativo sul clima. Nello specifico, le imprese dovranno adottare un piano atto a garantire che il modello di business e la strategia aziendale perseguiti siano compatibili con la transizione ad un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5º C, in conformità all’Accordo di Parigi sul clima[8].

Ma quali sono le misure che permettono alle società di adempiere a tale dovere di diligenza e che dovranno essere implementate?

La proposta di Direttiva (art. 4 e segg.) le identifica come segue:

      • adozione di specifiche procedure per il rispetto del dovere di diligenza: tale previsione impone l’adozione di specifiche policy in tal senso, codici di condotta contenenti norme e principi a cui la società si dovrà attenere per garantire la tutela dei diritti umani e il rispetto dell’ambiente;
      • individuazione degli impatti negativi effettivi e potenziali sui diritti umani e sull’ambiente che possano essere causati dalla propria attività o da un proprio fornitore;
      • prevenzione degli impatti negativi potenziali sui diritti umani e sull’ambiente. Sul punto, si noti che ove la società non sia stata in grado di prevenire tali impatti, essa ha l’obbligo di “attutirli sufficientemente”. Nel caso in cui non sia possibile neanche attutire gli impatti negativi, la società dovrà arrestare gli impatti negativi o, in subordine, minimizzarli;
      • valutazione periodica delle attività e delle misure adottate dalla società, anche nell’ambito delle catene di fornitura a cui la società partecipa e dei rapporti d’affari, per monitorare l’efficacia dei propri interventi di individuazione e prevenzione degli impatti negativi sui diritti umani e ambientali.

La proposta di Direttiva investe anche l’ambito della corporate governance introducendo per gli amministratori delle società specifici doveri atti a definire e supervisionare i processi di due diligence svolti dalla propria impresa.

 

Focus sulle clausole contrattuali come possibile strumento di due diligence delle imprese 

In forza dell’art. 12 del testo di Direttiva, la Commissione dovrà poi adottare linee guida su possibili modelli di clausole contrattuali non vincolanti da inserire nei contratti commerciali che le imprese stipulano con i partner appartenenti alla loro stessa “catena del valore”. In tal modo le imprese, attraverso la sottoscrizione di tali clausole, potranno dimostrare di aver adempiuto al loro dovere di diligenza. In caso poi di mancato rispetto delle stesse da parte del fornitore, il contratto potrà essere risolto di diritto.

Inoltre, le imprese dovranno chiedere ai loro partner di applicare misure simili nelle loro relazioni commerciali (contractual cascading). È, quindi, evidente come lo strumento contrattuale possa rivelarsi estremamente utile per adempiere al rispetto dell’obbligo di diligenza lungo la catena di fornitura, nonché per evitare che i soggetti terzi con cui si è legati da relazioni contrattuali, sia dirette che indirette, possano violare i diritti umani e produrre impatti negativi ambientali.

 

Conclusioni

È indispensabile che le società – che ricadono nell’alveo di applicazione della Direttiva – pianifichino per tempo le attività da implementare, e specificatamente quelle indicate nei punti da 1) a 4) del precedente paragrafo, per poter essere adempienti ai nuovi obblighi normativi, valutando adeguatamente i costi connessi a questo nuovo processo, inclusi i nuovi investimenti per rendere le proprie attività e le catene di fornitura cui partecipano conformi all’obbligo di due diligence cui saranno soggette.

A ciò si aggiunga l’importanza di avvalersi di specifici servizi di consulenza specializzati in materia di corporate social responsibility, al fine di supportarle nello sviluppo della loro strategia d’impresa in materia di sostenibilità e coordinare, sia centralmente che in periferia (“catena di valore globale”), le attività aziendali.

 

 

 

[1] La Commissione Europea ha già adottato altri atti rilevanti per la tutela dei diritti umani e dell’ambiente, quali la proposta della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che modificherà la Direttiva 2014/95/UE (Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria). L’importanza di una condotta responsabile delle società e del rispetto dei diritti umani a livello internazionale è stata già da anni professata e confermata dalle Nazioni Unite (ONU), dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).. Ci riferiamo, per citarne alcuni, alle Guiding Principles on Business and Human Rights: Implementing the United Nations ‘Protect, Respect and Remedy’ Framework (2011) delle Nazioni Unite e alle Linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali dell’OCSE.

[2] Sul punto “il cosiddetto “ambito d’applicazione materiale” è incentrato e strutturato principalmente sull’obbligo di diligenza delle società e comprende gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente che possono essere chiaramente definiti in determinate convenzioni internazionali” (p. 18 della Direttiva). Sono così richiamati dalla Direttiva:gli accordi internazionali in materia di diritti umani (parte I, sezione 1), convenzioni in materia di diritti umani e libertà fondamentali (parte I, sezione 2) e violazione di obiettivi e divieti riconosciuti a livello internazionale previsti nelle convenzioni ambientali” (p. 29 della Direttiva). Precisiamo che i diritti umani sono i diritti inalienabili dell’uomo, ossia i diritti che devono essere riconosciuti ad ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano, indipendentemente dalle origini, appartenenze o luoghi ove la persona stessa si trova. Segnaliamo, per completezza, il documento Guiding Principles on Business and Human Rights 2011, pubblicato dal UN Human Rights Office of the High Commissioner. Tale documento contiene i principi guida che gli Stati devono seguire per garantire e promuovere il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese; forniscono un piano per il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese e offrono una serie di parametri di riferimento alle parti interessate per valutare il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese.

[3] Per “catene globali di valore” a cui partecipano le imprese devono intendersi l’insieme delle attività inerenti la produzione di beni e servizi e i rapporti d’affari/commerciali con partner terzi (sia a monte che a valle delle catene di fornitura).

[4] Cfr. “Corporate social responsibility (CSR) and its implementation into EU Company law”, p. 9.

[5] Si segnala, per completezza, che il testo della Direttiva prevede l’applicabilità delle nuove norme anche alle imprese con sede legale extra UE ma che presentino le seguenti caratteristiche: (i) generazione di un fatturato netto di più di 150 milioni di euro all’interno dell’Unione; (ii) generazione di un fatturato netto inferiore ai 150 milioni di euro, ma superiore ai 40 milioni nell’UE, se almeno il 50% del fatturato netto globale è stato generato in uno o più settori considerati ad alto rischio dalla Direttiva.

[6] L’Art. 1 precisa il contenuto della Direttiva, prevedendo che la stessa stabilisca norme in materia di:

“(a) obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d’affari consolidato; e (b) responsabilità delle violazioni di detti obblighi.”

[7] Tra le Convenzioni di maggiore rilievo di cui sopra si ricordino, ad esempio, quelle contro lo sfruttamento del lavoro minorile, dei lavoratori, o volte a proteggere gli individui avverso atti di discriminazione. L’Allegato alla Direttiva indica le convenzioni internazionali rilevanti in materia di diritti umani e ambiente.

[8] In linea con l’Accordo di Parigi, i Paesi dell’UE hanno convenuto di avviare l’UE sulla strada che la porterà a diventare la prima economia e società a impatto climatico zero entro il 2050. Come previsto dall’Accordo, l’UE ha presentato la sua strategia a lungo termine per la riduzione delle emissioni e i suoi piani aggiornati in materia di clima prima della fine del 2020, impegnandosi a ridurre le sue emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

ICTLC Italy
italy@ictlegalconsulting.com